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Dalla grotta (di Pitagora) si vede l'azzurro del mare: sei in Sicilia nella "Valle del Bove"
Balarm
10 mesi fa
Domenica 18 febbraio ci siamo diretti sull'Etna, alla Valle del Bove, percorrendo il sentiero a schiena d'asino coperto da neve fresca e da altra ghiacciata. Ci siamo destreggiati camminando sui bordi per evitare di scivolare. In alcuni tratti invece il sentiero era costituito da un lastricato di bruna pietra lavica che non ghiacciava.
Il vasto e scuro declivio circostante era coperto a larghe chiazze dalle spinose piante di astragalo stese come dei cuscini sulla sabbia. Qua e là emergeva più rilevato rispetto al terreno il groviglio dei rametti di achillee che pur rinsecchito data la stagione emanava un leggero profumo.
Per i primi chilometri il sentiero è rimasto prospiciente al nostro campo visivo perché piuttosto ripido, dopo si è snodato con delle serpentine che hanno consentito di rifiatare.
Lo sguardo ha potuto così spaziare ad ammirare un paesaggio dal profilo insolitamente morbido e levigato per la mancanza di spuntoni rocciosi e per i cumuli rotondeggianti di sottile sabbia vulcanica. A metà percorso abbiamo divagato perché abbiamo notato dei monoliti appoggiati sul terreno e scolpiti in sorprendenti forme. Ce n'era uno che aveva la sagoma di un grandioso trono: impossibile resistere alla tentazione di assurgervi e di farsi fotografare.
Ripreso il cammino per il percorso ormai tutto a serpentine si vedeva il candido mantello nevoso ravvivare per ampi spazi lo scuro pendio su cui spiccavano qua e là anche cespugli di festuca.
Finalmente abbiamo incominciato a vedere i bordi rialzati dell'immane precipizio e ci siamo affacciati sulla valle.
Una vista davvero emozionante. Sembra un mare nero ed immobile. Ai fianchi del baratro i tanti alberi spogli e biancheggianti apparivano come delle figure spettrali.
Ma a guardarla tutta quella immensa scura distesa dava l'idea di un immoto silenzio, di un luogo di pace in cui placare le tempeste e le passioni che agitano gli umani e in cui si poteva annullare lo scomposto strepitio delle grandi città. Siccome ci siamo partiti tardi, alle 13 circa, al ritorno abbiamo allungato il passo per non farci sorprendere dal buio.
Ad un certo punto per accorciare e per evitare il sentiero ghiacciato, abbiamo tagliato scendendo per il ripido pendio, non abbiamo rischiato di fare ruzzoloni perché a causa del morbido tappeto formato dal congruo deposito degli aghi di pino e per la fine sabbia vulcanica i talloni affondavano facendo una facile presa.
Siamo arrivati al parcheggio alle 16.45, per cui tolte le soste, abbiamo coperto i circa 7 km del percorso in tre ore.
Il vasto e scuro declivio circostante era coperto a larghe chiazze dalle spinose piante di astragalo stese come dei cuscini sulla sabbia. Qua e là emergeva più rilevato rispetto al terreno il groviglio dei rametti di achillee che pur rinsecchito data la stagione emanava un leggero profumo.
Per i primi chilometri il sentiero è rimasto prospiciente al nostro campo visivo perché piuttosto ripido, dopo si è snodato con delle serpentine che hanno consentito di rifiatare.
Lo sguardo ha potuto così spaziare ad ammirare un paesaggio dal profilo insolitamente morbido e levigato per la mancanza di spuntoni rocciosi e per i cumuli rotondeggianti di sottile sabbia vulcanica. A metà percorso abbiamo divagato perché abbiamo notato dei monoliti appoggiati sul terreno e scolpiti in sorprendenti forme. Ce n'era uno che aveva la sagoma di un grandioso trono: impossibile resistere alla tentazione di assurgervi e di farsi fotografare.
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Nelle vicinanze c'era pure l'ampio antro della grotta di Pitagora, luogo ideale per scattare delle magnifiche foto dato il contrasto fra il buio e la luce. Da qui in lontananza si può anche scorgere l'azzurro del mare.Ripreso il cammino per il percorso ormai tutto a serpentine si vedeva il candido mantello nevoso ravvivare per ampi spazi lo scuro pendio su cui spiccavano qua e là anche cespugli di festuca.
Finalmente abbiamo incominciato a vedere i bordi rialzati dell'immane precipizio e ci siamo affacciati sulla valle.
Una vista davvero emozionante. Sembra un mare nero ed immobile. Ai fianchi del baratro i tanti alberi spogli e biancheggianti apparivano come delle figure spettrali.
Ma a guardarla tutta quella immensa scura distesa dava l'idea di un immoto silenzio, di un luogo di pace in cui placare le tempeste e le passioni che agitano gli umani e in cui si poteva annullare lo scomposto strepitio delle grandi città. Siccome ci siamo partiti tardi, alle 13 circa, al ritorno abbiamo allungato il passo per non farci sorprendere dal buio.
Ad un certo punto per accorciare e per evitare il sentiero ghiacciato, abbiamo tagliato scendendo per il ripido pendio, non abbiamo rischiato di fare ruzzoloni perché a causa del morbido tappeto formato dal congruo deposito degli aghi di pino e per la fine sabbia vulcanica i talloni affondavano facendo una facile presa.
Siamo arrivati al parcheggio alle 16.45, per cui tolte le soste, abbiamo coperto i circa 7 km del percorso in tre ore.